La camorra uccide e lo fa attraverso killer che usano specifici linguaggi di morte. Innanzitutto occorre distinguere chi all’interno del sistema “fa i morti”, ovvero uccide, da sicario professionista e chi invece si improvvisa tale. Nel primo caso lo standard del killer è il seguente. Poco più che 20enne, munito di parco moto e auto, rigorosamente rubate, da usare nei raid; armi preferite: pistola semiautomatica calibro 9×21, prevalentemente Beretta, o revolver calibro 38 da avere sempre con sé nel caso l’arma semiautomatica si inceppa. Non è ammesso errore: per le punte di diamante dei gruppi di fuoco della camorra si deve colpire solo il bersaglio e lo si deve fare con incredibile precisione. Lo si avvicina con indifferenza, gli si gira attorno e al momento opportuno lo si colpisce. A seconda dell’entità dell’obiettivo e dello sgarro commesso gli si spara in faccia, alla testa o al petto. Si colpisce al viso e si sfigura chi è reo di una colpa talmente grande nei confronti del clan che ne ha decretato la fine da dover essere irriconoscibile persino da morto. Di ben altra pasta invece i killer improvvisati. Giovinastri, spesso tossicofili o tossicodipendenti, in molti casi inesperti delle stesse armi che usano e timorosi di possibili reazioni da parte della vittima. Per tale motivo evitano di avvicinarla aprendo il fuoco all’impazzata da notevole distanza: particolare che ovviamente eleva esponenzialmente il rischio di ferire innocenti passanti per caso sul luogo del fattaccio. La camorra utilizza certi elementi perché sono “in saldo”: con poche centinaia di euro e un po’ di “roba” gli sprovveduti killer commettono i più efferati delitti a qualsiasi ora del giorno e ovunque sul territorio. Altro particolare che differenzia le 2 categorie di assassini il livello di omertà. I primi, i professionisti, scontano anche ergastoli al 41bis senza il minimo cenno di pentimento gli altri, i killer “della scuola dell’obbligo”, al primo arresto pur di evitare pesanti condanne “cantano tutti”, ovvero denunciano mandante e movente, si trattasse pure degli stessi genitori.
Alfonso Maria Liguori